È in edicola su Viversani e Belli n°46 di questa settimana un articolo, al quale ho partecipato in qualità di consulente, dal titolo “Vegani e Depressi?”.

Tranquilli, non ci siamo accaniti contro gli amici che seguono lo stile vegano.

Semplicemente abbiamo riportato i fatti e la visione della comunità scientifica e della maggior parte dei dietologi e nutrizionisti, su un tema ad ogni modo attuale e controverso.

 

I benefici di un’alimentazione ricca di cibi di origine vegetale sono ormai noti, tanto che sempre più persone scelgono di eliminare del tutto o in parte le proteine animali dalla loro dieta.

Tuttavia recenti studi hanno rivelato che compiere una scelta troppo radicale in direzione “veg” potrebbe avere effetti negativi sul sistema nervoso, aumentare il rischio di disturbi dell’umore e portare anche alla depressione.

Secondo il rapporto Eurispes 2020, l’8,9% degli italiani non mangia carne: il 6,7% è vegetariano mentre il 2,2% vegano. Si tratta di scelte dettate in parte da scopi ecologico-animalisti, ma soprattutto da un intento salutista.

Fisiologicamente e per ragioni antropologiche l’uomo è onnivoro, cioè ha la capacità di mangiare alimenti di categorie diverse. Per questo motivo e per il fatto che ogni cibo contiene principi nutritivi diversi, dietologi e nutrizionisti concordano sul fatto che il modo migliore per assicurarseli tutti nelle quantità necessarie è quello di seguire una dieta il più possibile varia e bilanciata, senza escludere del tutto nessuna classe di alimenti.

Focalizziamoci ora sul Cervello.

In tempi recenti gli studiosi hanno iniziato a indagare gli effetti dell’alimentazione vegana sulla salute mentale, sottolineando come nelle sue forme più estreme e restrittive possa rivelarsi dannosa per l’umore e l’equilibrio psicoemotivo.

Diverse ricerche condotte in tutto il mondo, hanno spinto gli scienziati ad affermare che chi rinuncia del tutto alla carne ha più probabilità di sviluppare disturbi psichici rispetto a chi segue una dieta onnivora. La più recente, condotta dall’University of Alabama e pubblicata sulla rivista Critical Reviews in Food Science and Nutrition, gli studiosi sostengono che addirittura un terzo dei vegetariani è incline a mostrare sintomi depressivi, ansia e comportamenti autolesionistici.

Il legame tra stile alimentare e tono dell’umore non è ancora stato chiarito. Secondo gli esperti gli effetti del cibo sul cervello non dipendono solo dall’appagamento sensoriale, ma anche dal contenuto nutritivo specifico delle diverse categorie di alimenti e dal loro contenuto di nutrienti, come il triptofano, la vitamina B12, l’acido folico, la vitamina D, il magnesio, lo zinco, il rame e il selenio. Per il benessere del cervello sono inoltre essenziali ormoni come il testosterone (che aumenta in modo particolare con la carne rossa, e ancora di più se selvatica e grass feed) e la biodiversità del microbiota intestinale.

L'intestino

Il consumo di proteine di origine animale e vegetale condiziona in modo diverso la flora batterica intestinale. Un'alimentazione onnivora favorisce la biodiversità del microbiota e mette le basi strutturali dell’asse cervello-intestino, che può condizionare anche la sindrome depressiva.

Chi rinuncia del tutto alla carne per adottare un regime alimentare vegetariano ha fino al doppio di probabilità di incorrere in una carenza delle sostanze “antidepressive” in essa contenute. E gli effetti negativi aumentano se si escludono anche i cibi di origine animale (come uova, latte e derivati) optando per il veganesimo.

Per compensare il mancato apporto di proteine animali, i regimi alimentari “green” prevedono un elevato consumo di legumi, cereali integrali, soia e frutta secca col guscio . Questi cibi sono valide fonti di proteine vegetali, ma sono anche ricchi di fitoestrogeni e Omega-6.

Depressione e disturbi dell’umore sono associati a bassi livelli di due neurotrasmettitori fondamentali: la dopamina e la noradrenalina.

La soia condiziona l’attività di un enzima chiamato tirosina idrossilasi, alterando l’utilizzo della dopamina, il neurotrasmettitore della felicità. Gli isoflavoni della soia condizionano inoltre negativamente la funzionalità della tiroide, rallentandola e favorendo la sindrome depressiva.

Gli studi hanno inoltre evidenziato che i pazienti che tendono ad avere episodi ricorrenti di depressione hanno livelli ridotti di acidi grassi omega 3, in particolare EPA, rispetto agli omega 6, per l’azione sull’attivazione dell’inflammosoma e l’infiammazione conseguente nonché sui livelli di BDNF (Brain-Derived Neurotrophic Factor).

Se è vero che la totale rinuncia alla carne aumenta il rischio di depressione, diversi studi hanno dimostrato che anche l’eccesso di proteine animali può provocare lo stesso effetto.

La carne infatti rientra tra gli alimenti ritenuti pro-infiammatori, in grado di stabilizzare o aggravare uno stato di infiammazione in tutto il corpo, compreso il cervello. E poiché proprio la maggiore presenza di marcatori infiammatori (fino al 30% in più) è uno degli aspetti che distinguono un cervello “depresso” rispetto a un cervello “sano”, l’abuso di carne può essere considerato un fattore favorente della depressione, oltre che di un maggiore rischio di patologie cardiovascolare e tumori.

La scelta migliore per chi vuole alimentarsi in modo sano senza rinunciare alle proteine animali è la carne “Grass Fed”, ricavata da bovini allevati allo stato brado e alimentati solo ad erba. Oltre a non contenere traccia di antibiotici, chemioterapici o pesticidi, questo tipo di carne un’alta percentuale di Omega 3, acidi grassi essenziali fondamentali per prevenire la depressione

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Buona lettura!